|
|
| Aeneas Ade Knite
La stuzzicò una seconda volta nella speranza di scuoterla dal torpore in cui era inconsciamente precipitata. Era divertito e allo stesso tempo incuriosito di come avrebbe reagito quando si sarebbe finalmente risvegliata; l’avrebbe presa in giro e lei avrebbe inevitabilmente fatto sfoggio di una delle sue mille risposte taglienti, sorretta dal suo ineguagliabile orgoglio. Capì però presto che i suoi erano nient’altro che futili vaneggiamenti quando la ragazza si trascinò qualche centimetro indietro da lui, forse per istinto, forse per bloccare l’esterna fonte di disturbo che minacciava di spezzare l’incantesimo.
Lui sospirò piano, lei non era disposta a giocare a quel gioco. Voleva compagnia, la sua compagnia. E ascoltare le sue parole, quelle dette e quelle non dette. Voleva scorgere una minima fessura in cui provare fare breccia. Tuttavia, aveva fatto il suo piccolo tentativo e non intendeva andare oltre. L’avrebbe fatto, se avesse saputo che il risultato sarebbe stato diverso da quello appena ottenuto. Aveva ormai imparato che turbare la quiete altrui non era cosa da fare, se non per questioni di vita o di morte. Rimandò quindi tutto al futuro, a quando sarebbe stata vigile e cosciente. Decise di tornare al dormitorio.
Prima di congedarsi, le adagiò silenziosamente la sua felpa a proteggerla dalla brezza che spirava, sapendo in cuor suo che quel gesto nobile a cavalleresco serviva l’obiettivo di rivederla, quando, riconoscente, l’avrebbe cercato per il castello per restituirgliela.
[…]
La sera prima si era addormentato col pensiero rivolto alla ragazza assopita sulla Torre, dipingendo nella sua mente i diversi scenari di quando e come si sarebbero incontrati nuovamente. Ma era ormai tardo pomeriggio e di lei non v’era stata traccia per tutto il giorno. Sperava di scorgerla a pranzo o di sfuggita per i corridoi, ma per sua sfortuna le sue aspettative furono disattese. Non era intenzionato ad aspettare ulteriormente, ma non aveva nemmeno intenzione di andarla a cercare. Ciò avrebbe voluto dire mostrare il fianco e farle fiutare quello che – detto tra noi – si potrebbe definire un punto debole. La miglior idea che ebbe fu quella di ripercorrere lo stesso percorso del giorno prima, confidando nel medesimo incontro.
La chioma lucente non era lì ad accoglierlo, al suo posto un paio di corvi gracchianti se ne stavano appollaiati sul bordo della torre. Sconsolato, fece per avvicinarsi a quel che fino a poche ore prima fu il giaciglio della ragazza, infastidendo i pennuti, che non esitarono a fuggire quando avvertirono la sua presenza. Li seguì con lo sguardo perdersi all’orizzonte delle prime luci della sera, finché non fu più in grado di scorgerli. Qualcos’altro attirò la sua attenzione. La sua felpa, rimasta lì ad attenderlo, fedele.
Perché non l’aveva tenuta con sé? Perché lasciarla lì? Era l’ennesima provocazione o puro segno di disinteresse? Doveva sforzarsi di interpretare o attendere la sua verità? Cercò nelle tasche laterali un biglietto, un messaggio, un indizio, senza successo. Ciò che trovò fu un filo della sua chioma incastrato nel tessuto, di un biondo pallido, quasi argenteo. Se lo rigirava fra le dita come in attesa che quello potesse improvvisamente proferir parola e schiarirgli le idee, mentre le luci del cielo sbiadivano alle sue spalle.
« Come as you are »
|
| |